In breve: mi ero finalmente deciso ad aprire un blog. Avevo il nome perfetto, mancava solo la mascotte perfetta. Il racconto della mia avventura per trovarla, salvo poi scoprire un’amara verità.
Oggi inizia finalmente il mio blog. Ci ho messo un po’ lo so, l’idea mi ronza in testa da un sacco e questo giorno sembrava non arrivare mai. Avevo anche già fatto degli esperimenti su Medium, mi ero messo in testa che avrei scritto in inglese e che avrei parlato di cere per i capelli o di band italiane che meritano di essere scoperte all’estero. Mi avevano anche citato a Tropical Pizza e per un secondo avevo creduto di essere sulla strada giusta. Poi, però, mi sono reso conto che semplicemente non funziona. Scrivendo in inglese non sono me stesso, troppo tempo a pensare alle parole adatte e a verificare che la grammatica sia corretta, finisce sempre per suonare innaturale.

I miei 15 minuti di gloria
Dopo i primi tentativi, mi sono messo alla ricerca, per mesi, volevo capire di più su me stesso. Non volevo parlare di programmazione, design, di startup, design thinking e cazzi e mazzi. Roba “utile” che solo ad elencare mi sono già annoiato. E allora di cosa avrei parlato in questo blog?
A me andava di parlare di quelle cose inutili che in qualche modo mi danno la forza di svegliarmi al mattino, che mi tengono attaccato con le unghie e coi denti ad una specie di sanità mentale, anche se alla fine non ci pago l’affitto.
Vorrei parlare delle cianfrusaglie che trovi al negozio dei cinesi, del mio feticcio per le confezioni vintage e dei personaggi assurdi che trovi sul web. Vorrei scrivere di libri, musica, arte, sesso e filosofia spiccia.
Già che ci sono vorrei anche condividere come la penso di quello che succede nel mondo: è il mio blog alla fine, eccheccazzo!
Punto di svolta, mi piace. Ora però arriva una serie di decisioni più difficili, a cui non volevo dare dare peso ma mi rendo conto che segneranno il futuro del blog. Devo dargli un nome, trovare un sito, un logo, un concept, un brand, ste robe qui.
Pensandoci un po’ su non mi veniva in mente nulla di originale, solo l’idea di dovermi mettere lì a mettere in piedi un sito da capo e mi stava già quasi passando la voglia. Poi mi sono detto: perché non riutilizzare il mio portfolio? Alla fine ce l’ho già lì a fare un cazzo, non se lo caga nessuno, perché no?
Solo che il mio portfolio si chiamava IMCBV (I’M Christian Bisk Vismara) e bho, fanno fatica a trovarmi gli amici, magari se mi invento un acronimo meno criptico diventa un pelo più facile da ricordare.
Pensa e ripensa mi vengono in mente robe tipo:
“I migliori Cavalli Bevono Vino”. Simpatico eh. Però boh, banale e anche un po’ posh.
“In Montagna Con Banane Vestite” uhm, suona ok ma è troppo nonsense.
Poi finalmente l’illuminazione: “Il Mio Cioccolato Bisbiglia Cazzate” (lo so a cosa stai pensando, aspetta di leggere il resto). Boom, il nome perfetto! Avevo già in mente tutto: sarà un blog in cui io farò la parte di un tizio che ha trovato una barretta di cioccolato parlante nel suo zaino e riporta i suoi pensieri in un blog.
Ho iniziato a parlarne con gli amici e l’idea piaceva un botto, si sprecavano aggettivi tipo geniale, magnifico, rivoluzionario.
Caricato a mille dell’inaspettata approvazione sociale mi sono messo di buona lena a scrivere il primo pezzo e a cercare il cioccolato perfetto per farci le fotografie. Non poteva essere un cioccolato qualunque, doveva essere QUEL cioccolato ad incarnare il personaggio.

Esempio di cioccolato perfetto. Fonte: @pack_deco
Così, dalle 10 del mattino alle 3 del pomeriggio, sono stato in giro per Lisbona alla ricerca di quella specifica barretta che volevo avere a tutti i costi.
Devo ammettere che l’universo ci ha anche provato ad avvisarmi, ma io niente, non ho voluto ascoltarlo. Sono entrato nel primo negozio dove sapevo l’avrei trovato ma l’avevano finito. Poco male, al secondo ce l’avranno. Invece anche lì un cazzo. Vabene dai, proviamo ad incamminarci verso il centro e qualcosa troverò.
Ma anche nel terzo e nel quarto negozio niente. Sapevano benissimo di quale cioccolato stessi parlando, il loro sguardo si illuminava sentendo la mia strampalata richiesta, ma poi la ricerca tra gli scaffali del magazzino terminava sempre con la medesima risposta: l’avevano finito e ne avrebbero avuto di più solo durante la settimana. Durante la settimana? Ma io non potevo aspettare, avevo la smania di buttare fuori il primo post. Ricevuta la stessa risposta dal quarto negoziante, colpito dall’asurdità della situazione, ho anche chiesto come fosse possibile che il quarto negozio su quattro avesse finito quel dannatissimo cioccolato. Il titolare, un signore pacato sulla cinquantina, mi ha spiegato che non si trattava affatto di un caso: un tizio era entrato il giorno prima e aveva comprato una cosa come cinquanta unità. Sì, cinquanta. Se ne avessero avute di più, lui le avrebbe prese tutte.
Confuso da quella strana sequela di fatti sono uscito per strada e ho iniziato a domandarmi se non ci fosse dietro uno scherzo. Conoscendo quei burloni dei miei amici, non ne sarei stato nemmeno troppo sorpreso. Ma non potevo demordere proprio ora: agguerrito e affamato di cioccolato sono entrato in almeno una ventina di negozi. Alcuni mi hanno guardato male, sbalorditi che qualcuno si ricordasse di quel prodotto sparito ormai da decadi dagli scaffali portoghesi. Altri hanno cercato di aiutarmi in tutti i modi, suggerendomi posti in cui cercare che però si rivelavano puntualmente buchi nell’acqua. Gira e rigira, io ero ancora lì, al punto di partenza, e non avevo trovato il mio cioccolato. Certo, avevo comprato cinque o sei altre barrette in caso di emergenza, ma non era lo stesso. Ormai era diventata un’ossessione: volevo quel cazzo di cioccolato.
Dov’è il tuo master in comunicazione e marketing adesso?
Mentre pranzavo al volo in una tipica tasca portoghese, di quelle in cui ti serve la vecchietta zoppa coi porri sul naso e il menù sta scritto a mano sulle tovagliette di carta, mi sono ricordato di un posto a cui ancora non avevo pensato. Accecato com’ero dalla mia bramosia mi ero completamente scordato il Time Out market, il tipico concetto di mercato chiuso per turisti che ormai infesta mezza europa. Caffè, pago il conto e gambe in spalla mi metto a camminare di buona lena fin là.
Quando ho finalmente intravisto il cioccolato sugli scaffali mi è sembrato come se un fascio di luce lo illuminasse e dei cori angelici risuonassero per la stanza. Felice come un bambino nella vasca di palline del mcdonald, quasi baciavo la commessa dall’emozione. La tentazione era quella di comprarli tutti, giusto per vendicarmi con lo stronzo che mi aveva preceduto in mezza città. Le mie tasche vuote e bucate mi hanno però riportato immediatamente sul pianeta terra, ricordandomi di non essere ancora un influensér ricco e famoso, solo uno stronzo alla disperata ricerca di una barretta di cioccolato. Un po’ intontito dal reality check ho rinunciato allo scherzetto, ne ho comprati un paio di esemplari e mi sono incamminato verso casa.
Appena arrivato, ho allestito tutto un set pazzesco per tirare fotografie. Gli occhietti di carta del cioccolato, lo zaino con i libri scelti accuratamente per fare citazioni pseudo intellettuali, i calzini piazzati furbescamente nella tasca davanti per farlo sembare pieno (lo zaino!), il cartoncino colorato di sfondo, eccetera eccetera.
Ancora in trance creativa mi sono messo a fare un piccolo servizio fotografico all’amico di cacao, il quale è poi diventato una gif, che avrei diabolicamente usato sui social per trarre in inganno i miei contatti e condurli ignari sul mio blog. Qui il risultato:
Carino vero? Per richieste d’adozione, mandatemi una mail
Arrivato finalmente il momento di aggiungere l’ultimo fotogramma, quello in cui nella mia testa avrei pubblicizzato il nome del mio blog, consacrando le ore spese a lavorarci, mi sono reso conto della puttanata di cui ero stato succube: IMCBV – Il Mio Cioccolato Bisbiglia Cazzate.
Dov’è la C di Cazzate?
Per i primi dieci minuti non volevo crederci. Doveva esserci un errore, come potevo non essermene accorto? Come potevano anche le persone a cui l’avevo detto non essersene accorte? (alcuni hanno poi ammesso di essersi in realtà accorti, ma di non aver voluto dirmi nulla, forse per paura di ferirmi, tipo quando ti si incastra l’insalata nei denti e nessuno ha il coraggio di fartelo notare).
Facendo appello a tutto il mio autocontrollo mi sono trattenuto dal lanciare il mac tipo frisbee e, preso dallo sconforto più totale, sono andato a farmi una doccia, camuffando le lacrime sotto l’acqua bollente.
Ora sono passati due giorni, di acronimi migliori non me ne sono venuti in mente (si accettano suggerimenti), il cioccolato continua a parlarmi e io ho più o meno raggiunto la fase dell’accettazione. Intanto ho deciso di condividere comunque questa storia con i lettori del mio neonato blog: penso che non avrei saputo descrivermi meglio di così.
Scriverò anche un secondo post nei prossimi giorni. Poi un terzo. Poi, chi lo sà, magari anche un quarto. Comunque se continuate a leggermi, sapete a cosa andate incontro.
Un abbraccio,
Christian e il Cioccolato.
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